martedì 15 gennaio 2013

Far pagare ai ricchi le prestazioni sanitarie?


La sanità per tutti costa troppo e non toccare le banche e le grandi ricchezze serve a non fermare la ripresa (..) Gli operai che non accettano di essere licenziati senza una giusta causa sono conservatori (..) La crisi va risolta riparmiando su Università, scuola, sanità pubblica e pensioni”, scrive Luigi Cancrini sull'Unità del 28 dicembre a p.16. Secondo gli economisti Giavazzi e Alesini, non è equo né ragionevole che ricchi e poveri abbiano accesso gratuito ai servizi. Sarebbe meglio abbassare le imposte e far pagare i ricchi per le prestazioni sanitarie. Così, le poche risorse pubbliche disponibili potrebbero essere concentrate per fornire servizi gratuiti ai non abbienti. Ma un reddito alto libero di pagare meno imposte non avrebbe alcun vantaggio se il maggior reddito disponibile dovrà essere speso per pagare le cure di tasca propria. E una volta obbligato a pagarsi le cure di tasca propria, perchè mai il reddito medio-alto dovrà essere favorevole a finanziare la sanità pubblica riservata solo alle famiglie con redditi bassi? E' facile prevedere che alla lunga saranno ridotte le risorse destinate alla sanità pubblica, che sarà sempre più la sanità dei poveri.
I ricchi si rivolgeranno invece alla costosa ma qualitativamente superiore sanità privata. Gli altri si arrangeranno con quello che passa il magro bilancio pubblico. Il rischio – risponde il senatore Ignazio Marino (PD) – è che succeda come negli Usa che hanno la spesa sanitaria più elevata del mondo, il 16,2 per cento del PIL”.
Anche negli Usa – nota Gianni Riotta - non si vogliono pagare imposte perchè tanti ceti si rivolgono a scuole, sanità e pensioni private, vivono in 'gated community', quartieri residenziali chiusi, e trovano assurda l'idea di provvedere ai concittadini meno fortunati”.

Leggi M. D'ANTONI, Perchè è nociva l'agenda Alesina-Giavazzi, l'Unità, 28 dicembre 2012, p.15; M. DE BAC, Un errore le polizze, Corriere della sera, 29 dicembre 2012. G. RIOTTA, L'abisso Usa, “La Stampa”, 28 dicembre 2012, p.28.

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