“La Stampa”
del 27 dicembre ci ha spiegato che secondo gli obiettivi fissati
dall'agenda Monti si dovrà raggiungere il pareggio di bilancio fin
dal 2013 e si dovrà ridurre lo stock del debito pubblico di un
ventesimo all'anno dal 2015. La riduzione del carico fiscale su
lavoro e imprese sarà perseguita mediante interventi sui grandi
patrimoni e sui consumi di lusso. Come spiega anche Paolo Ferrero nel
suo “PIGS! La crisi
spiegata a tutti”
(Edizione DeriveApprodi) a pag. 50, l'Unione Economica e Monetaria
“impone che tutti i
paesi dell'eurozona in
cui il rapporto debito/Pil
superi il 60%, debbano
rientrare in vent'anni
nei parametri previsti.
Vuol dire che in
Italia, dove si sfiora
il 120%, si dovrà
rientrare del 3% l'anno.
Fatti i conti si
tratta di tagliare circa
900 miliardi di euro in
vent'anni: all'incirca
45 miliardi l'anno di
tagli alla spesa pubblica
che si vanno ad
aggiungere agli effetti
dell'obbligo del pareggio
di bilancio”. Ferrero non manca di
aggiungere che “i 45 miliardi di
tagli l'anno si
sommeranno al pagamento
degli interessi sul debito
che oggi ammontano a
circa 80 miliardi annuali”
(nel suo messaggio di fine d'anno, Napolitano ha parlato di 85
miliardi).
Un gruppo di parlamentari
Pd (tra cui Stefano Ceccanti, Paolo Gentiloni, Enrico Morando, il
napoletano Umberto Ranieri e la torinese Magda Negri) in una lettera
pubblicata dal Corriere della Sera
del 29 dicembre, invitavano il segretario Bersani a “interloquire
con l'Agenda Monti”
da considerare “un insieme di
proposte ineludibili”. Soprattutto,
“il Pd deve impegnarsi
per mantenere il pareggio
strutturale di bilancio e
la riduzione del debito
anche attraverso operazioni
sul patrimonio pubblico”.
Queste sono “scelte corrispondenti
agli interessi nazionali e
condizioni di ulteriore
crescita della nostra
credibilità in Europa”.
Con l'anno nuovo Stefano
Ceccanti e Umberto Ranieri lasciavano perdere il Pd e preferivano la
scelta cinica con Monti per l'Italia. Lasciamo perdere.
Orbene, sull'Unità del
31 dicembre, il direttore Claudio Sardo afferma che l'agenda Monti è
“una buona trovata
propagandistica”, ma “non è
mai esistita” perchè “ribadire
il rispetto degli impegni
presi per acquisire fiducia
in Europa e cercare
così di spostare gli
indirizzi generali dall'austerità
alla crescita non è
un programma politico. E'
la precondizione di
qualunque azione di
governo”.
Tesi curiosa. Se l'agenda
Monti non esiste, “in nome del
rigore” il governo Monti ha già fatto capire con
la riforma dell'art.18 e con quella delle pensioni che intende
riproporre le “ricette sbagliate”
che anche secondo Sordo “hanno bruciato
lavoro, risorse, energie
umane, competitività”. Come si
possa invertire la tendenza approvando Fiscal compact
e costituzionalizzazione del pareggio di bilancio resta un problema
aperto di proporzioni gigantesche. Ridurre forzatamente “il
debito pubblico in
eccedenza al ritmo di
un ventesimo l'anno
fino ad arrivare alla
soglia del 60% del Pil”
comporta manovre da 45 miliardi l'anno. Lo segnala con toni allarmati
anche Marco Mongiello a pagina 13 della medesima edizione dell'Unità.
A ragion veduta, altri osservatori affermano che l'accoglimento di
questi vincoli conferisce all'azione del governo Monti un profilo
costituente, capace cioè di sottrarre per vent'anni al Parlamento e
ai successivi governi ogni margine di residua autonomia.
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