Sergio
Marchionne è globale, patriottico, tricolore, ma anche sabaudo.
Geografico, ma anche storico: la Fiom stia zitta, lui oggi ha
realizzato il sogno di Agnelli di portare l'auto in America.
Metalmeccanico ma anche politico. Tra i politici che sono tutti
“osceni”, il
manager col maglione si riserva di scegliere quelli che vincono. Per
ora preferisce contenersi, giacchè la missione tradizionale della
Fiat è sempre “filogovernativa”.
Da Detroit a
Piazza Affari, l'ad del Lingotto dichiara di aver programmato di
“portare in produzione negli impianti
italiani 17 nuovi modelli e 7 aggiornamenti di prodotto da qui al
2016” per raggiungere “nel
giro di tre-quattro anni un pieno impiego di tutti i nostri
lavoratori”. Bacchetta la Fiom colpevole
114 anni fa di non essere ancora nata (1) e Landini ha buon gioco a
motivare la sua diffidenza ricordando la fine che hanno fatto i 32
modelli e i 20 miliardi di investimenti promessi nel 2009. Nel suo
libro sulla “Solitudine dei lavoratori”,
Giorgio Airaudo getta lo sguardo oltre gli orizzonti della provincia
e vede nell'auto un paradosso, un prodotto obsoleto arrivato al
capolinea. Ma allora bisogna pensare a togliersi dall'isolamento
riportando all'ordine del giorno la fatica vincente dell'unità
d'azione. Altrimenti si possono sventolare bandiere gloriose, ma chi
intasca quanto quattrocento operai consolida potere e guadagna
consensi, passività e scoramenti.
SOLI O MALE
ACCOMPAGNATI ?
Questo
libro di
Giorgio Airaudo
su “La
solitudine dei
lavoratori”
nella vicenda Fiat è un
atto di
accusa che
costituisce il
suo pregio
e il
suo limite
sconcertante. Il
pregio sta
nella denuncia
che l'auto
è al
capolinea. E'
esaurita irrimediabilmente
la spinta
propulsiva che
sembrava sospingere
su quattro
ruote l'umanità
lungo la
via del
benessere. Anche Vittorio Foa
ha scritto che l'automobile è stata il segno più concreto della
libertà e persino della felicità conquistata dai lavoratori nel
Novecento. Noi intellettuali, sinistra e sindacato vedevamo l'inferno
negli ingorghi del traffico metropolitano, ma quell'ex bracciante
diventato operaio, sulla spiaggia in canottiera bianca, vedeva i suoi
figli al mare (2). Ma adesso, ecco un altro dispetto dell'eterogenesi
dei fini: “il fine dichiarato non si
realizza” o intervengono modificazioni “con
delle componenti diverse che ne cambiano il segno” (3).
L'auto con la sua capacità produttiva di 80
milioni di vetture all'anno e una domanda di 50 milioni - scrive
Airaudo - ha smesso di dare occupazione e ha cominciato a toglierne:
Mirafiori ha oggi poco più di 13mila operai. L'auto è diventata un
paradosso. E anche quel metalmezzadro vede che la miracolosa
scatoletta di lamiera ad alta tecnologia ha cessato di portare
libertà ed è diventata invece una prigione con il suo inquinamento,
il suo elevato consumo energetico, i suoi incidenti stradali che
uccidono i giovani senza troppi allarmi sociali. E ci sarebbe bisogno
urgente di altri tre pianeti carichi di risorse energetiche da
saccheggiare se volessimo estendere a tutta l'umanità il diritto di
perseguire questa meta di progresso. Dunque, o neghiamo con la guerra
e con la forza a chi ha il torto di non essere occidentale la
democrazia automobilistica, o ci acconciamo a una più ragionevole ed
egualitaria distribuzione della ricchezza, del lavoro, dell'energia e
dei consumi fra tutti i popoli della terra (4).
Impresa,
governi e sindacati sembrano invece aggrappati a pezzi che cadono.
Non si dividono su come gradualmente riconvertire l'industria
automobilistica verso “un futuro della
mobilità che si misuri con i limiti ambientali ed energetici del
pianeta” spendendo tutti i soldi pubblici e
privati necessari ad “un piano che unisca e
valorizzi, integrandole, tutte le forme di trasporto dalle autostrade
del mare alle ferrovie”. Piuttosto, si
scontrano per stabilire in quale misura i lavoratori dovranno
contribuire all'alleggerimento competitivo dei costi e
all'arricchimento qualitativo del prodotto: con il contrattato
supporto della mano pubblica e con lo spregiudicato ricorso alle
delocalizzazioni fiscalmente incentivate.
Come lo
stesso Airaudo rivendica, il conflitto non si esaurisce sul terreno
della redistribuzione, ma coinvolge il modello di sviluppo e di
civiltà, non appena incrocia il nodo dell'occupazione. “La
mobilità va ripensata – dice Airaudo –
cambiando i comportamenti di consumo pubblici
e privati” (5).
Allora bisogna togliersi dall'isolamento, non ritagliarsi un ruolo
che ti lascia volentieri consumare nella denuncia della protervia
padronale, nella fedeltà ad oltranza verso la comunità operaia
assediata, nella dolente rappresentazione della sua democrazia
calpestata, nella difesa della contrattazione svuotata.
Temo che sia
proprio questo il limite del libro di Giorgio Airaudo e della sua
Fiom. I ricatti si respingono mettendo alla berlina la pratica dei
sindacati collaborazionisti – che pure ci sono - con scioperi
dichiarati sui giornali, ma disertati da troppi operai? Giova
riproporre equiparazioni leggendarie e identitarie con gli anni duri
di Valletta? D'altra parte, da quegli anni si uscì dialogando con
gli operai più deboli. Si tornò a perdere perchè li riconsegnammo
all'avversario attraverso la fierezza della scomunica quando
scoprimmo che essi cambiavano, ma non come volevamo noi. Perdemmo non
solo per questo, ma anche per questo.
Unità
d'azione, una fatica bestia sempre da affrontare. In un altro
contesto di dibattito elettorale, me l'ha rispiegato con parole sue
il mio amico Pasquale, un operaio della Streglio di None oggi in
pensione che ha deciso di votare SEL e non Ingroia: è stufo di
gridare, di inalberare orgogliosi cartelli di protesta, di respingere
mediazioni e di sventolare gloriose bandiere “mentre
gli altri te lo ficcano in quel posto”. Ci
devo pensare. Nel frattempo ringrazio Gianluigi Saccione, delegato
Fiom, perchè mi ha invitato a leggere il libro.
Mario
Dellacqua
1) La gara per stabilire
chi ha ragione guardando l'anagrafe, appare piuttosto discutibile.
Comunque, si può cogliere l'occasione per precisare che la Camera
del Lavoro torinese è nata il 1 maggio 1891. Otto anni prima della
Fiat, aveva scelto di essere “esclusivamente destinata a
difendere gli interessi della manodopera contro il capitale”. P.
SPRIANO, Storia di Torino operaia e socialista, Einaudi,
1958-1960-1072, p. 24.
2) G. RIOTTA, Foa, è
l'automobile che ha liberato gli operai, La Stampa, 13 novembre
2011.
3) V. FOA, Scelte di
vita, Einaudi, 2010, p.15-16.
4) V. FOA, Il cavallo
e la torre, Einaudi, 1991, p.74.
5) G. AIRAUDO, La
solitudine dei lavoratori, Einaudi 2012, pag. 104, euro 10. Vedi
p. 3-52-96.
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