Miriam Mafai con Giancarlo Pajetta |
“E quando in quegli anni ho partecipato in Abruzzo alle
lotte contro il Principe Torlonia, per la riforma agraria, all'occupazione
delle terre di Fucino (si partiva all'alba, dai paesi circostanti, con i
braccianti, le bandiere, i carretti), quando ho partecipato agli scioperi a
rovescio per imporre al Principe i lavori necessari, insomma, allora ero
convinta di fare una cosa molto importante per quei contadini e per il
progresso del nostro paese. Non era già questo un pezzo di 'rivoluzione'?
Poi la terra quei contadini l'hanno ottenuta, e molti di
loro sono diventati democristiani. Pazienza, ma quei bambini che non potevano
andare a scuola perchè non avevano le scarpe e che non conoscevano il sapore
della carne, quei bambini le scarpe le hanno avute, hanno cominciato ad andare
a scuola e a mangiare la carne. A me questo sembrava già un pezzo di rivoluzione.
Un pezzo di rivoluzione riuscita”.
“Sono tentata di dire che ogni volta che cambiamo, come
individui o come organismo collettivo, lo facciamo perchè riconosciamo che
c'era qualcosa di vero, di buono, di valido nell'analisi e nel pensiero degli altri.
Si cambia sempre per 'contaminazione'. (..)Se non riconosciamo questo, la
ragione degli altri, il cambiamento non è sincero, non è autentico”.
Miriam Mafai in V. FOA-M. MAFAI-A. REICHLIN, Il silenzio dei comunisti, Einaudi,
2002, pag. 17 e 19.
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