da sinistra Alberto Tridente, Tonino Chiriotti, Mario e Enrico Lanza |
“Sicuramente
non obiettivo” e lo
dice. E' soprattutto controcorrente questa autobiografia di Alberto
Tridente che apre lo squarcio di una lettura trasversale su mezzo
secolo dell'Italia sindacale e operaia. Un mezzo secolo di notti
lunghe e rigide, di albori incerti, di primavere prepotenti e orfane
di estate, di crepuscoli amari, a volte irti di carrierismi vili in
nome dell'irreversibilità degli eventi, a volte costellati di
ripiegamenti ringhiosi nella salvaguardia del proprio particulare.
Controcorrente
nell'Azione cattolica perchè accusato di essere un comunistello
di sacrestia: capitò
anche a Carlo Borra e a tanti altri. Controcorrente
nella Cisl più o meno per gli stessi motivi, quando Alberto ebbe
l'ardire di pensare e dire che i comunisti nel movimento sindacale
erano concorrenti, non avversari: e qui Borra era già sulla sponda
opposta.
Controcorrente
con i comunisti: la sua infanzia di garzone di cascina e di bottega
nella tragica malora della guerra e poi di operaio alle Ferriere era
macchiata dalle sue conclamate radici cattoliche. Non era sufficiente
a valergli il rilascio di un certificato di sana e robusta
costituzione proletaria.
Controcorrente
– al limite dell’impopolarità - in una Torino infeudata a
Valletta con il suo reticolo di suadenti ricatti: gli operai Fiat
guardavano con diffidenza ogni funzionario a tempo pieno. Non
facevano una piega per le sue levatacce al primo turno. Non sapevano
nulla del suo impegno per sburocratizzare la democrazia sindacale con
gli stipendi spartani e i rapporti solidali di un convento laico.
Qualcuno gli mandò una lettera anonima che lo accusava di “mangiare
in via Barbaroux”.
Controcorrente
con chiunque non mettesse in forse il dogma dell'automatico legame
fra incremento produttivo, occupazione, sviluppo dell'economia e mete
di civiltà. Alberto non voleva una produzione asservita
acriticamente ai profitti, specie quando gli affari prosperavano
sulla guerra. Non si accontentava di delegati rassegnati alla pace
come missione religiosa o impotente denuncia delle malvagità
imperialiste nelle liturgie domenicali del pacifismo: le prime volte
lo ascoltavano, ma avrebbero voluto applaudirlo “con
le mani sulla sua faccia”.
Controcorrente
con chiunque si ostinasse a rinserrare la sua azione politica e
sindacale entro gli angusti orizzonti della nazione: solo un respiro
internazionale può colmare il gap
dei diritti fra lavoratori di diversi paesi e scoraggiare
efficacemente le delocalizzazioni con le leggi e con i contratti. Nei
suoi settant'anni di corsa, Alberto è stato un sindacalista per il
mondo e la sua autobiografia testimonia la preoccupazione quasi
ossessiva di legare quell'accordo al Viet Nam, quella fabbrica alle
favelas
brasiliane, quello sciopero al Salvador. Dalle case operaie di
Venaria Reale al Guatemala, “sporco” ma “bravo” (non “bravo
ma sporco”),
Alberto ne ha fatta di strada. Questo navigare controcorrente gli ha
fatto incontrare tutte le correnti immaginabili, dai
socialdemocratici ai baschi, ma non lo ha mai visto assumere
posizioni aristocratiche o giacobine, neppure quando la sua stessa
scelta di giocare di anticipo lo collocava in minoranza. Anzi, lo ha
trasformato in un pioniere instancabile dell’unità tra i diversi.
Un pirata leale, un rapinatore altruista di esperienze e un portatore
sano di modelli da ricercare, interrogare e sperimentare.
Controcorrente
soprattutto con la
famiglia, che obbliga ogni militante a scegliere con lucida crudeltà
tra due doveri in lancinante concorrenza quotidiana: il richiamo
della famiglia e la fedeltà verso l'organizzazione, quella che lotta
per liberare tutti, ma comincia con l'opprimere te facendoti sentire
tutte le mattine come Ettore alle porte Scee di fronte ad Andromaca
che ti sbarra la strada con lo sgambettare implorante di Astianatte.
Tutto il libro è attraversato dall'invadenza molecolare di questo
peso portato una vita fino all’incrocio con la malattia per
risalire da lì verso un'armonia braccata con la determinazione del
montanaro. In fondo, le “Favole
per Omer”(edite da
Angolo Manzoni nel 2007)
e le pagine
struggenti sulla madre e sulla famiglia obbediscono a questo
imperativo segreto ma non troppo, a questo bisogno di ricostituire
attorno a sè un'intima unità sempre a repentaglio, ma mai data per
perduta. Alla soglia degli ottant’anni, Alberto presenta alla sua
famiglia e ai suoi amici (che ha come pochi in tutte le famiglie
politiche e sindacali) un bilancio straordinariamente ricco, la cui
forza parte dal riconoscimento non imbarazzato di una fragilità che
è compagna di tutte le nostre giornate.
Da
questo libro esce un ritratto sobrio e fiero. Salva il principio del
buon esempio che è meglio dare invece di cercarlo e aspettarlo.
Esalta l'inseguimento umile e inesausto della sintonia tormentata fra
uguaglianza e libertà. Salva l’essenziale. I Beatles direbbero
“The long and
winding road” (Una
strada lunga e tortuosa), oppure “With
a little help from my friends”
(Con un piccolo aiuto dei miei amici). Vorrei dire che, ora come
allora, la musica è sempre la stessa. Certo, occorre il coraggio di
arrangiamenti radicali. Gli ultimi Paul McCartney e Joe Cocker sono
lì a incoraggiarci.
Mario
Dellacqua
A.
TRIDENTE, Dalla parte dei diritti. Settanta anni di lotta,
Prefazione di Giangiacomo Migone, Rosenberg e Sellier, euro
23,50.
Nessun commento:
Posta un commento