venerdì 10 febbraio 2012

che fine ha fatto nonunomanoi?

Ho sentito l'interrogativo sibilare in margine a non ricordo quale dei nostri incontri. La penso come Pierluigi Sullo. Sul "Manifesto" di oggi scrive che "in un paese in cui la cultura di sinistra, quella della conquista del potere, resta dominante, le elezioni sono sostanzialmente inutili, salvo eccezioni". Quella che agli albori del socialismo si chiamava lotta "per la appropriazione delle funzioni pubbliche da parte del proletariato" si risolve oggi in una liturgica misurazione delle mutevoli febbri di simpatia personale. Completamente fuori gioco il conflitto democratico fra contrapposte visioni programmatiche. I primi nell'effimera graduatoria della simpatia, in attesa di sommergere con la noia o di essere sommersi dall'impopolarità, passano il loro tempo a spiegare che purtroppo non possono fare quello che vorrebbero fare per via di questo o quell'impedimento legislativo, burocratico, patto di stabilità eccetera. Nel caso nonese dicono sì a tutto quello che propongono le imprese. Al massimo chiedono qualcosa in cambio. Ma Pierluigi Sullo afferma anche che "la natura della visione della società richiede movimenti altrettanto diffusi di quel che ci si propone: una produzione di energia a scala locale, un'agricoltura a chilometro zero, una democrazia diretta eccetera. Il cambiamento non verrà da leggi o governi. La rivoluzione (parola tornata sulla scena grazie agli indignados) si fa facendola". In sostanza abbiamo ben poco da chiedere alle istituzioni, ma molto da chiedere a noi stessi. Invece di cercare il buon esempio, è meglio darlo.
 
Mario Dellacqua

2 commenti:

  1. nonunomanoi poteva e potrebbe essere un prezioso laboratorio politico, sociale e culturale, che non esistono solo le biomasse.
    pensare globalmente ed agire localmente, dice qualcuno.
    lungi dall'avere come chiodo fisso le prossime elezioni (in particolare quelle comunali) mi vien comunque da pensare che queste nel futuro più o meno prossimo si terranno in ogni caso, sia che noi ce ne interessiamo e sia che ce ne infischiamo pensando di avere cose più importanti di cui occuparci.
    ma se ci fosse il modo di rendere più trasparenti e condivisi i processi che portano alla formazione degli schieramenti contrapposti non sarebbe affatto male.

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  2. Si parla tanto di “riformismo”, ma una nuova cultura riformista - che è poi quella che nel mondo sociale e politico del secolo XX si forma in tutta Europa - da noi solo balbetta ma nessuno la sta a sentire. Si dice che non ha sex appeal, a differenza - che so - di Bertinotti o di Bossi. Ma è proprio quel tipo di sex appeal politico che bisogna far sparire da questo paese. Bisogna restituire il gusto politico per Ie cose concrete, quello che ha fatto, a livello locale, la fortuna del “riformismo sotto la pelle” del vecchio comunismo di Emilia e Toscana. Le cose concrete non stanno solo a livello locale. E non bisogna credere che la denuncia dei miti statalistici del passato significa ripulsa delle funzioni pubbliche e della grande politica che spesso è necessaria aIle cose. Specialmente quando ci si trova in un paese minacciato di decadenza sin nelle sue basi, quelle del capitale umano che è stato, e minaccia di non essere più, la risorsa maggiore delle sue passate fortune.
    Luciano Cafagna Il Riformusta

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