Non sono uno storico di professione, non ho titoli accademici. Sono però un appassionato di cose locali, di quella che un po’ riduttivamente si usa definire microstoria. E come tale, come lettore cioè, ho molto apprezzato il libro di Giuseppe Nicola. Ciò che sorprende, in questo prezioso lavoro che scava nella memoria di None, è proprio il senso del dettaglio,
del
particolare.
Come
se
per
un
ragazzo
di
appena
15 anni
o
giù
di
lì,
il
ricordo
di
quei
giorni
lontani,
in
particolare,
proprio
i
giorni
di
guerra,
si
fossero
fissati
per
sempre
come
il
piombo
di
una
linotype (che da molto tempo non si usano più). E’ un atto di omaggio di Giuseppe Nicola alla sua comunità. Bisognerebbe che ce ne fossero molti, di Giuseppe Nicola. In tutti i nostri paesi. Per farne una rete di scambio per materiali e informazioni.
Quand’è che si avverte la necessità forte e insopprimibile di raccontare a beneficio di sé e degli altri ? Proprio quando la società cambia rapidamente. Al contrario,
in
una
società
immobile,
immutabile,
non
c’è alcun bisogno
di
raccontare
ciò
che
ciascuno
sa
già.
L’Italia di ieri è andata perduta
irrimediabilmente. Non si tratta di mera nostalgia. Va ricordato che la vecchia società contadina portava con sé retaggi di superstizioni, paure, diffidenze, pregiudizi; sentimenti che proprio non ci appartengono, ma che in questa Italietta, tornata provinciale, riemergono purtroppo con tanta facilità.
Giuseppe Nicola ha avvertito questo senso del cambiamento e si è quindi posto il problema di descriverci minuziosamente la None
che
non
c’è più. Ma vorrei dire che il nostro autore questo sentimento
lo
stava
già
provando
proprio
nei
giorni
tristi
della
tragedia
incombente,
poi
della
guerra
proveniente
dal
cielo,
con
le
sirene
che
laceravano
il
silenzio
della
notte.
Avvenimenti
che
nessuno
in
paese
aveva
vissuto
fino
ad
allora,
perché
None
era
vissuta
avvolta
nei
suoi
ritmi
consueti.
E’
la
guerra
che
sconvolge
ritmi
abitudini
tradizioni
sentimenti
affetti.
Possiamo pescare a piene mani e citare a volontà. Inutilmente si troveranno nostalgici ricordi per il tempo che fu: quel tempo era tempo di guerra, di cinghie tirate, di oscurità, di paura. Abbonda invece la tenerezza, che è un sentimento diverso, è l’affetto di Giuseppe Nicola per la sua gente, per i suoi insegnanti – riesce a ricordare perfino il nome di un maestro che resta in classe per poche settimane, il classico supplente. C’è da chiedersi quali capacità mnemoniche abbia sviluppato!
Parliamo allora del ricordo. Avviene, con questo libro, un’operazione che è ben nota a chi ha osservato i meccanismi della diaristica. Il ricordo
personale,
del
singolo
è
un
insieme
di
sentimenti,
di
odori
perché
no
?, di
profumi,
di
suoni,
che
ti
girano
continuamente in testa e che qualche volta sono anche un po’ ossessivi. Ebbene, il ricordo personale in qualche modo si trasforma, si allarga e si dilata: da semplice sensazione privata diventa memoria. Il ricordo è qualcosa di privato, che sta dentro il cuore; la memoria è collettiva, è aperta, entra nel patrimonio di chiunque viva all’interno della comunità, diventa di tutti. Proprio grazie a libri come questo. Forse non diventa ancora “storia” nel senso che gli accademici di professione sono soliti dare. Essi infatti preferiscono lavorare su testi scritti, su documenti certi, e rifuggono dalle testimonianze, dai ricordi personali. Io direi che ci vuole l’uno e l’altro. I due aspetti vanno benissimo insieme e uno completa l’altro. Penso sempre al caso così vistoso della memoria nei campi di concentramento. Che cosa sarebbe la storiografia senza le testimonianze di prima mano dei sopravvissuti? Come si studierebbero i campi di concentramento nazisti, senza leggere le opere di Primo Levi ?
Confesso che l’episodio dell’8 marzo 1944, l’attacco al magazzino della
Todt di None che vide cadere i partigiani Emilio Camosso, Angelo Cresti e
Alfredo Serra è stata una delle primissime pagine che ho cercato sfogliando il manoscritto. Errando, mi aspettavo di trovare maggiori particolari. Ma subito dopo ho riflettuto. La narrazione non poteva essere diversa da come è stata scritta: è il racconto puro e semplice di un ragazzo di 15 anni, che vede per la prima volta corpi senza vita distesi a terra, lasciati dai tedeschi come ammonimento.
Marco Comello
intervento
alla presentazione del 17 dicembre 2011 (testo non rivisto dall'autore)
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